La scatola dei rossetti
Salgo gli ultimi scalini di pietra, freddi come le mie mani che hanno perso colore. Sento il rumore dei passi, eco lontana di caldi ricordi e all'improvviso una valanga di rumori si dipingono nel vuoto che mi sta attorno: il miagolio del tuo gatto cieco, la tua risata piena, la tua voce squillante, il tuo ciabattare frenetico per le scale fatte di corsa. Sono nella cucina, tutto è rimasto come lo hai lasciato. Solo la polvere sembra un’intrusa. Ti vedo vicino ai fornelli, mentre giri il sugo con il quale riempirai la teglia delle lasagne. Mi siedo sul divano, ascolto il tonfo sordo del mio peso sui cuscini. Mi appoggio e butto la testa indietro, chiudendo gli occhi nella speranza di vederti ancora, piena di vita come eri. Ho troppi anni addosso per farmene una ragione, per poter comprendere questa vita senza di te. Sapevo che prima o poi avrei dovuto accettare la tua assenza eppure avevo la presunzione di crederti immortale. Tra poche ore verranno tutti gli altri a fare scatole, a dividere le cose, decidere chi prende quello e quell'altro e non voglio esserci. Non voglio vedere, pezzi della tua vita spartiti tra gente che non ti ama quanto ti amo io. Non voglio vedere la casa svuotarsi come un quadro che perde i suoi colori, vorrei che tutto restasse così com’è, disordinato e incastrato, pieno zeppo di tutto ciò che sei stata: gli oggetti mormorano il tuo nome, il nome straniero rubato a una bambina sconosciuta. Che si prendano tutto questi sciacalli, quello che mi hai lasciato è mio e non potranno rubarmelo mai. Sa cosa c’è nonna? C’è che il dolore più grande sarà non tornare più in questa casa che mi tiene stretta a te, un rifugio dolce pieno di storia, la tua, la mia. Sono stata nipote e figlia con te, stretta tra le tue cosce nelle notti di solitudine, tenuta per mano quando nessun altro lo faceva. Non voglio esserci quando il portone verrà chiuso per sempre. Che fine farà questo rifugio che ha anima e ricordi. Mi alzo dal divano e nella penombra cammino fino al salotto: negli anni lo hai trasformato in un mausoleo. Vedo foto di mamma in fasce, del nonno che ti tiene un braccio sulle spalle mentre tu sorridi, con il tuo rossetto rosso e il foulard in tinta. Sei sempre stata una donna elegante e io amavo frugare tra i tuoi trucchi e di nascosto dipingermi le labbra con i tuoi rossetti. Ne avevi una scatola piena, mamma invece non ne aveva neppure uno. Mi mancavi così tanto quando non ti vedevo ed erano giorni lunghi, ingiusti ai miei occhi. Il ricordo più bello lo stringo al cuore. Avevo tre anni ed ero all’asilo. La suora venne a chiamarmi perché qualcuno era venuto a prendermi, prima del previsto. Sulla porta c’eri tu, con il sole alle spalle che ti donava una luce surreale e mi sembrasti quasi sogno. Ti corsi incontro, mi baciasti come facevi solo tu, di baci veri e profondi, sporcandomi le guance di rosso. Profumavi di buono e mi abbandonai serena tra il tuo seno. Ammiravo la tua genuina bellezza, l'amore che avevi per la cura del tuo corpo. Avevi capelli scurissimi sempre raccolti e vestiti sgargianti, scarpe con il tacco, cappotti di ogni colore. Ero fiera di essere tua nipote, fortunata ad avere il tuo amore, così pieno e vero, così dilagante e nutriente. Sarà per questo che adesso manchi più del dovuto. Negli anni ho visto il tuo guscio avvizzirsi, la pelle perdere tonicità e colore, i capelli imbiancarsi, la schiena ingobbirsi. Ti ho vista dimagrire a vista d'occhio e da alta e robusta diventare una piccola donnina rachitica. Eppure, oltre il tuo guscio, sei rimasta quella di sempre. La forza incontrollabile della vita ti ha abitata fino alla fine, anche oltre le parole smorzate dal respiro. Non conosco nessuno che abbia la stessa forza. Dicono che ti somiglio, che pur essendo magra e bionda, ho lo spirito della mia nonna. Non ne sono sicura, ma una cosa da te l’ho imparata: a ridere e amare questo dono che è la vita, misero nella sua brevità, potente nella sua unicità.
Devo andare. Il cuore trema sopraffatto da così tanta malinconia. Respiro forte come se volessi catturare tutta l'aria della casa. Sfioro i mobili, le tazze nella vetrina, i tuoi cappotti nell'armadio e torno per l'ultima volta in bagno alla ricerca della scatola dei rossetti. La trovo nel mobiletto accanto alla vasca. Sono tutti lì, consumati dal tempo, sporchi di polvere e residui di trucco, ma ci sono tutti. Hanno ancora il tuo odore. Li prendo, l'unica cosa che prenderò da questa casa, che solo io sento che mormora il tuo nome di straniera.