Il canale dei cuori
Recensione
Ho adorato moltissimo questo libro, semplicemente perché è autentico, incontaminato e limpido come l’acqua del fiume che fa da scenario a tutto il racconto, scritto con una semplicità tale da impreziosire ogni singola parola.
Giuseppe Sgarbi, detto Nino, ha iniziato molto tardi a scrivere, a ben novantatrè anni, seguendo il consiglio della figlia e assecondando la sua indole innata di narratore. Ha scritto quattro libri in soli cinque anni, racchiudendo in essi rammenti di una vita lunga quasi un secolo, rendendola così immortale. Il canale dei cuori, pubblicato nel 2017, non si può certo definire un romanzo ma piuttosto una raccolta di ricordi che l’autore ci racconta attraverso un dialogo immaginario con suo cognato Bruno, scomparso anni fa, dialogo che ha inizio sulle rive del fiume dove i due amici erano soliti andare a pescare. Rivolgendosi a Bruno, Nino ripercorre tappe importanti della sua esistenza, regalandoci tratti di un’epoca che non esiste più, lasciandosi spesso andare a riflessioni personali che personalmente mi hanno commossa. Nino riflette sulla vita che celebra senza nessun ma, sull’eternità dell’amore, quello vero, sulle peculiarità della felicità, sull’arte e la scrittura, sulla realtà odierna così profondamente diversa da quella di ieri.
“Ho la sensazione, però, che ci siamo allontanati molto dal legame con la terra…e così ci siamo persi, come astronauti ai quali si è staccato quella specie di cordone ombelicale che li lega alla navicella e ora vaghiamo, senza meta, nello Spazio.”
È questo uno dei passi che più ho preferito. Qualcuno che finalmente trova una risposta, o almeno ci prova, alla mia domanda eterna: perché abbiamo smarrito il senso e il valore delle cose?
I pensieri di Nino si soffermano in più di un’occasione sul suo interlocutore immaginario, Bruno, forse per rendergli giustizia in un mondo che non lo ha mai capito veramente. Ci mostra così le fragilità di un uomo che all’apparenza sembra proprio non averne e con un velo di malinconia ci racconta della sua solitudine interiore: “ C’è una strada certa per la solitudine, Bruno: essere intelligenti, intellettualmente onesti e liberi. E tu eri tutte e tre le cose insieme.”
Tutto il libro è imbevuto da un intenso sentimento per tutte le cose, per la vita prima di tutto, per il tempo che scorre e ferma l’esistenza in ricordi, per la bellezza assoluta, per gli oggetti, simboli incontrastati di emozioni interiori e per lei, Rina sua moglie, che vive in lui, in ogni sua parola e pensiero, come se essa fosse la linfa attraverso cui scorrono tutte le sue emozioni.
Il canale dei cuori è una raccolta di appunti personali che hanno il pregio di aver catturato la bellezza di un’esistenza ricca di sentimenti e di un’epoca che pur con le sue tragedie, ha saputo donare solidità e fermezza agli uomini e alle donne che l’hanno vissuta. Queste scaglie di esistenza sono raccontati seguendo il ritmo lento e cadenzato dell’acqua del fiume, lo stesso che tante volte è stato il testimone silenzioso dell’amicizia tra Nino e Bruno e che li ha accolti con le loro canne da pesca, entrambi alla ricerca di qualcosa di profondo.
“Io venivo a staccare la spina; tu per riattaccarla e consentire ai pensieri di rimettersi in circolo; di alimentarsi e alimentare, te stesso innanzitutto. Io mi scaricavo, tu ti ricaricavi delle energie necessarie ad affrontare la mediocrità e a sostenere l’impatto con una umanità che in comune con te aveva solo il fatto di trovarsi troppo spesso nello stesso posto nello stesso momento.”
Provo malinconia al pensiero che persone così, come Nino, siano quasi alla fine del loro viaggio. Rappresentano simbolicamente quel legame con la terra che non ho mai vissuto veramente, motivo per il quale ogni tanto perdo il senso e mi smarrisco. Sono quelle persone, così rare ormai, che profumano di umano, che sanno amare prima con il cuore e poi con gli occhi, che festeggiano la vita e non conoscono la noia, capaci di dare valore alle cose e alle persone per quello che sono, con i loro pregi e le loro mancanze e che sanno soprattutto che una vita senza amore non è vita vera e che “amare è come lavorare la terra: bisogna scegliere bene il terreno e, una volta che si è sicuri che sia quello giusto, dedicargli tutto il tempo e tutte le attenzioni di cui ha bisogno. O non crescerà niente.” Perché nulla avviene senza sacrifici, perché il raccolto cela fatiche indicibili ed è frutto di lavori lenti e alle volte estenuanti, durante i quali però non si deve mai perdere di vista il traguardo che sta là, in cima. Non esiste il tutto e subito. O forse esiste ma è così effimero che si dissolve nell’istante in cui tentiamo di trattenerlo.
Questo libro mi ha donato poesia e mi ha spudoratamente confermato che “senza tristezza l’arte non sarebbe mai esistita” e che “la fragilità è bellezza” e mi ha confessato che l’intensità delle emozioni giovanili “sanno di puntura d’ortica, di solletico di spighe, di carezze di felci e narcisi… sanno di biciclette sdraiate su un fianco s riprendere i sensi, di corpi acerbi abbandonati sui prati…rapiti dal carminio virato prugna e arancio di tramonti che lasciano senza parole.”
Così, avvolta da questa dolce saggezza, sono giunta alla fine del dialogo intimo di Nino con Bruno, quando il fresco della sera lo interrompe. Mi coccolo ancora un po' con la meraviglia delle sue semplici parole, schiette e pure e con l’incanto di un amore che non sa morire.
“Caterina, che mi hai fatto lo scherzo di confonderti con l’azzurro, quando i miei occhi avevano ancora sete dei tuoi, e le mie orecchie inseguivano ancora le tue parole come il retino di un bambino un volo di farfalle colorate.”
Eterno è ciò che vive dentro. A dispetto di ciò che se ne va.